Archive for ottobre 2007

“Mashup in libraries” su AIDA Informazioni

28 ottobre 2007

E’ stato pubblicato il numero 1/2 del 2007 della rivista di documentazione AIDA Informazioni: oltre all’espressione del mio apprezzamento e della mia gratitudine per i colleghi di AIDA per la pubblicazione dei contenuti ad accesso aperto, vi segnalo la cosa anche perché potete leggere il mio articolo Sticking between: mashup in libraries (p. 71-86), relazione dell’intervento al Seminario AIDA 2007 svoltosi lo scorso marzo a Roma, nonché gli interessantissimi interventi di Federico Meschini, Luca Rosati e Roberto Tirabassi (sempre al medesimo indirizzo). Che ne pensate?

EurOpen Scholar: l’Europa verso l’accesso aperto

28 ottobre 2007

Anche in Europa il (som)movimento di promozione dell’open access (e conseguentemente l’advocacy, il marketing, la diffusione e la disseminazione delle informazioni) si fa strada tra i tanti problemi di frammentazione e sopportando il retaggio storico di forte antagonismo tra i protagonisti dell’accademia. Alcune istituzioni e centri di ricerca, capeggiati dall’Università di Liegi, hanno dato vita a EurOpen Scholarship:

[…] une vitrine et un outil pour la promotion de l’OA en Europe. Il s’agira d’un consortium d’universités européennes résolues à avancer dans cette voie et à tenter de convaincre le plus grand nombre possible de chercheurs de se lancer dès à présent dans ce qui sera à coup sûr le mode de communication de demain, ainsi que le plus grand nombre possible d’organismes finançant la recherche en Europe.

“EurOpenScholar” bénéficiera d’un site web hébergé par l’ULg. Ce site fournira un service de récolte d’information sur les dépôts institutionnels et sur les journaux OA, un forum de discussion sur l’OA, sur les méthodes émergentes en matière de bibliométrie, de classements (les fameux rankings*) et de comparaisons.

Parole (sante) del Rettore di Liegi, Bernard Rentier, che, attraverso il suo blog, si è fatto promotore e paladino del consorzio delle università europee: dopo lo stallo seguito alla dichiarazione di Berlino (e a quella di Messina, pure firmata dalla quasi totalità delle università italiane), nel vecchio continente si sente davvero il bisogno della ripresa di iniziative di coordinamento a sostegno dell’open access.

Il gioco dell’OCA

23 ottobre 2007

Tra i tentatori di biblioteche come Google e Microsoft si insinua l’OCA, l’Open Content Alliance, che è all’origine di progetti web aperti come Internet Archive e Open Library. Oltre che aderire a progetti di natura squisitamente commerciale mirati alla digitalizzazione e alla presentazione di circoscritte categorie di libri, le biblioteche possono dunque avvalersi dei servizi di OCA, operando così una sorta di scelta di campo, per quanto in teoria non incompatibile con le altre.

Qui si apre un punto importante della questione. OCA promette (o meglio, lo fa già) di mettere a disposizione dell’umanità i libri digitalizzati, ma la cosa ancora più interessante è: quali libri verranno digitalizzati. L’oggetto di OCA, in genere, sono infatti gli out-of-copyright book, cioè i libri non più soggetti al vincolo del copyright. In realtà

On Wednesday the Internet Archive announced, together with the Boston Public Library and the library of the Marine Biological Laboratory and Woods Hole Oceanographic Institution, that it would start scanning out-of-print but in-copyright works to be distributed through a digital interlibrary loan system. (fonte: New York Times)

E sarebbe ulteriormente interessante capire quanti di questi out-of-print o sono anche orphan book – cioè libri di cui non si riesce a rintracciare un’appartenenza editoriale ma che per l’età dichiarata risultano ancora sotto chiave, e anche quali saranno le modalità del prestito interbibliotecario, oltre alle modalità pratiche di gestione di volumi ancora sotto diritti.

Interessante notare anche come la questione riguardi piuttosto l’accesso che la digitalizzazione in sé: a differenza di Google, OCA chiede che le biblioteche paghino per i servizi prestati (digitalizzazione), ma poi garantisce accesso aperto ai dati. Ed è questo che molte biblioteche hanno apprezzato (certo, stante l’abbondanza di fondazioni ed enti finanziatori di cui possono usufruire i nostri colleghi d’oltreoceano ;) ) e che ha colpito NYT.

(via mailing list Web4Lib)

No, really, it’s up to you – firmato Radiohead

14 ottobre 2007

Complice una malefica tignosa influenza, mi sono regalata un quarto d’ora di svago ;) e ho deciso di dedicare il Cult domenicale non ad argomenti tecnici (ma questo solo in apparenza!), bensì alla scelta di grande impatto culturale compiuta dai Radiohead in relazione all’uscita del loro ultimo disco: In Rainbow.

Invece di distribuirlo soltanto come CD e/o file in formato proprietario avvolto da un bel lucchetto di DRM, questo grande gruppo (disclaimer: è in assoluto la band che più amo :) ) ha, sì, deciso di vendere il suo album in CD con il suo bel corredo di gadget (due vinili, fotografie, video etc.), ma anche di mettere a disposizione il download in .mp3 dell’intero disco.

La novità riguarda proprio la modalità con cui il file online è scaricabile: si tratta per l’appunto di un formato leggibile da qualsiasi device ed è acquistabile sul sito dedicato a In Rainbow per il prezzo stabilito di volta in volta dall’acquirente.

Avete capito bene: potete versare qualsiasi cifra (compresa: nessuna cifra) per pagarvi il vostro download (cliccando sul punto interrogativo che appare accanto al campo vuoto in cui va indicata la cifra, compare ripetutamente la scritta it’s up to you, no, really, it’s up to you).

Ora, premesso il fatto che remunerare un artista per la sua produzione intellettuale è cosa assolutamente doverosa, trovo questo dei Radiohead finalmente un serio tentativo di affrontare la c.d. crisi del mercato discografico in maniera plausibile e coerente, distante anni luce dalla soluzione finale one-size-fits-all del perseguire penalmente chi scambia canzoni in P2P…

Personalmente ho comprato il CD online, l’ho pagato esattamente quanto pago gli altri CD, sto ascoltando le dieci canzoni e devo dire che, nonostante la prima impressione non fosse esaltante (ah, la perfezione di Hail to the thief…), ad ogni riavvio del player mi convinco sempre di più che la cifra dei Radiohead c’è ed è inalterata.

Naturalmente c’è da considerare che, come detto, i brani sono scaricabili in .mp3, perciò sicuramente la qualità sonora non è grandiosa, ma se preferite, potete acquistare il ricco cofanetto con in più il diritto di scaricare anche gli mp3, direttamente dall’abituale concessionaria del merchandising della band.

Spero davvero che la formula si riveli vincente perché rappresenterebbe un bello scacco non solo alle major discografiche (almeno a quelle sul piede di guerra contro gli scaricatori impenitenti) ma anche a società come la Apple che vanta una piattaforma digitale, ITunes, che non è proprio un grande esempio di apertura…

Un resoconto sulla vicenda (completo dei commenti dei grandi del mercato) su Punto Informatico.

Academic Library 2.0 – Seconda parte

4 ottobre 2007

Ed oggi, come anticipato, è stata la volta di questa collega appena ventinovenne, colta, simpatica e molto digital native! Elizabeth Winter ha presentato il suo Social software in academic libraries: a Web 2.0 toolkit davanti ad una platea sempre più nutrita e interessata ed è stato istruttivo confrontare il suo intervento – più centrato sulle applicazioni pratiche, benché non del tutto privo di una cornice teorica di riferimento – con quello di Derek Law, che ieri ci ha aiutato a guardare alle trasformazioni che hanno originato il web 2.0 da un punto di vista più antropologico e sociologico.

Elizabeth è subito entrata in argomento con diverse slide sul web 2.0 e sulle definizioni che, a partire da quella originaria del suo inventore (o, meglio, del creatore del suo brand ;-) ) si sono succedute. I vari statement sono riassumibili nella formula: web as platform, che pone l’accento sia sul trasferimento dei sistemi operativi, le piattaforme su cui girano gli applicativi che adoperiamo, dagli hard disk dei nostri desktop al web, e sia sulle conseguenze cui questo mutamento tecnologico ha dato luogo in termini sociali e culturali.

Gli utenti nel web 2.0 sono protagonisti: non più passivi consumatori di un web testuale e autoritario ma creatori di contenuti, prosumer che determinano gli orientamenti delle aziende con il loro semplice essere – esigentemente – online. Il drastico abbassamento delle barriere tecnologiche d’altronde consente di essere in Rete – ed esserlo da protagonisti, cioè creando un proprio spazio online – in maniera sempre più semplice e rapida. Una frase riportata nell’intervento rende bene quello che cerco di dire: Web 2.0 is all the Web sites out there that get their value from the actions of users (Information Week).

Il corredo di tool e servizi che il 2.0 porta in dote è talmente ampio da confermare agevolmente queste affermazioni teoriche: blog, wiki, social tagging e bookmarking, mash-up, social networking, photo sharing, instant messaging, realtà virtuali etc. sono modalità di risiedere nella parte abitata della Rete senza subire passivamente costruzioni esistenziali estrinseche ma immaginando e dando vita di giorno in giorno alle relazioni ed alle informazioni che più desideriamo.

Il movimento della Library 2.0 si innesta su questo trend e raccoglie stimoli culturali e suggestioni tecnologiche per dare vita ad una nuova concezione della biblioteconomia e delle biblioteche (importante sottolineare questo perché il talk di Elizabeth percorreva di continuo questo doppio canale interno/esterno): anche i nostri utenti sono usi ormai a smanettare in rete con tool 2.0 di ogni tipo e, come ha illustrato ieri Law, a costruirsi il proprio ambiente informativo senza preoccuparsi troppo dei millenni di sapere accumulati e meticolosamente catalogati nelle biblioteche.

Dunque, primo obiettivo: sfruttare la tecnologia e le possibilità che essa ci offre di avvicinarci agli utenti, di essere dove loro sono, invece che forzarli a condividere un mondo – il nostro – forse non troppo amichevole e comunque sempre meno fisicamente partecipato da essi. Interessanti a questo proposito gli esempi portati: i blog del Gatech, le loro foto su Flickr, il corredo di tool di instant messaging di cui dispongono, una personalizzazione di LibX, la presenza in Second Life e su Facebook.

Ma non si vive di soli utenti ;-) La seconda grande sfida è rivolta verso l’interno delle biblioteche, ovvero verso i nostri stessi colleghi, quelli con cui dividiamo le fatiche di gestire le risorse elettroniche o di catalogare un libro antico o di sottoscrivere gli abbonamenti ai periodici: anche per i task interni gli strumenti del 2.0 possono offrire valido supporto.

Wiki dedicati a fungere da knowledge base per informazioni sui periodici elettronici (rinnovi, cambiamenti editoriali, pacchetti, gestione hep desk etc.); Google Spreadsheets destinati a raccogliere gli elenchi degli stessi ejournal per condividerli online con i colleghi interessati editando tutti sempre un unico documento; sistemi di messaggistica istantanea per consentire ai vari dipartimenti o alle varie biblioteche una collaborazione rapida ed efficace; ancora wiki dedicati alle acquisizioni e a tutte le problematiche gestionali correlate.

Tutto ciò è stato realizzato da Elizabeth e dai suoi colleghi al Gatech e, a parte alcuni inevitabili aggiustamenti in corso d’opera, ha prodotto maggiore scambio di conoscenze ed esperienze, comunicazioni più fluide, condivisione delle informazioni e dunque un sostanziale incremento di produttività.

Dopo un’ultima slide di conclusioni all’insegna del proverbiale e tipicamente statunitense incitamento al gioco e alla sperimentazione (do not be afraid to play!), l’intervento si è concluso aprendo la sessione delle numerose domande del pubblico (maggiori dettagli sul resoconto a breve in pubblicazione su Biblioteche Oggi!). Visto che siamo in tema di multimedialità spinta non poteva mancare una cronaca per immagini della due giorni: la vedrete a brevissimo su Flickr. Eccola: che ne dite?