Ok, sono solo pre-visioni e magari anche un po’ azzardate. E, come dice Giuseppe Granieri, da cui ho ripreso la notizia, “[p]revedere il 2020 in questi ambiti è come cercare di capire che tempo farà il 6 giugno del 2017 in metereologia”. MA ogni tanto (almeno ogni fine anno, giusto per rispettare la regola di oroscopi e aruspici), fa bene meditare e condividere i flussi che si profilano all’orizzonte. E quindi nel 2020 preparatevi a vivere, secondo il rapporto Pew, i seguenti sviluppi (grassetti miei):
- “The mobile device will be the primary connection tool to the internet for most people in the world in 2020.
- The transparency of people and organizations will increase, but that will not necessarily yield more personal integrity, social tolerance, or forgiveness.
- Voice recognition and touch user-interfaces with the internet will be more prevalent and accepted by 2020.
- Those working to enforce intellectual property law and copyright protection will remain in a continuing arms race, with the crackers who will find ways to copy and share content without payment.
- The divisions between personal time and work time and between physical and virtual reality will be further erased for everyone who is connected, and the results will be mixed in their impact on basic social relations.
- Next-generation engineering of the network to improve the current internet architecture is more likely than an effort to rebuild the architecture from scratch”
Sulla trasparenza che non porta necessariamente alla tolleranza, ci sarebbe molto da dire, e forse è uno degli aspetti su cui sarebbe necessario avviare una riflessione pubblica (cioè etico-politica, ma seria). Recentemente, mentre leggevo Zero Comments, qualche anima pia (rimasta per il momento ignota) mi ha fatto mandare dall’Institute of Network Cultures di Amsterdam, presso il quale Lovink studia e ricerca, la serie di pubblicazioni edite finora. E se c’è un elemento, nella critica della cultura digitale di Lovink, che condivido appieno (tra i tanti che invece mi vedono in disaccordo) è proprio lo smascheramento del determinismo della tecnologia, di quella teleologia sottesa agli slogan progressivi del tipo “più internet=più democrazia” – o, per stare alla citazione, “più blog=più tolleranza”.
A parte la mia non predilezione del termine tolleranza, che uso qui per mera comodità (Pasolini ci ricorda come il protagonista di un libro si uccide perché non tollera di essere tollerato), abbiamo sotto gli occhi numerosi casi che contraddicono talune profezie ottimistiche e naif (di taluni) degli entusiasti della Rete: dai testamenti video dei martiri islamisti all’odio razziale che, prima di ritorcerglisi contro via medesimo medium – circolava sui blog dei seguaci del regista olandese Theo Van Gogh (contraddizione ripresa da Lovink in Zero Comments).
Ugualmente ci sarebbe da cominciare a capire se un altro mondo, relativamente alla proprietà intellettuale dei contenuti digitali, è possibile, al di là degli esosi finanziamenti in R&D sulle tecnologie di protezione ormai inchiavardate in ogni programma-lettore che si rispetti.
Un aspetto che invece nello studio non appare come punto esplicito, ma di cui si parla molto ultimamente e che davvero mi incuriosisce, è il futuro dei giornali, per come li conosciamo oggi (cioè già ibridi molto contaminati dal digitale). C’è un bivio, mi pare, che può portare all’estinzione o a una sopravvivenza fatta di stenti. Io credo che l’estinzione della forma-quotidiano attuale (nello specifico) e la sua rinascita dalle ceneri del passato con una nuova concezione editoriale e nuovi strumenti e mezzi (media), possa essere una soluzione vincente. Ma ci vuole visione, e molti soldi e temo anche una gran fortuna nell’azzeccare previsioni. A questo proposito, un articolo del Corriere (online, ca va sans dire) e due siti su cui riflettere, e che spero di riprendere in un post dedicato: RefAware, nato per distribuire informazione scientifico-accademica e Political Browser, il notista virtuale del Washington Post, visti entrambi, come ho avuto modo di dire altrove, come filtri di lusso, il primo anche a pagamento, per fornire al lettore una selezione ragionata e di qualità (e accreditata dalla statura dei selezionatori). L’aggregazione editorializzata di contenuti – è uno dei campi in cui i giornali online dovranno specializzarsi, man mano che l’information overload cercherà di impossessarsi della nostra capacità di valutare e selezionare l’informazione. Almeno, questa è la mia previsione per gli anni a venire ;-)