Ieri c’è stato a Genova il convegno sugli archivi e le biblioteche 2.0 di cui vi avevo parlato qualche giorno fa: è stata una bellissima esperienza. Intanto c’era il sole che si stagliava sfacciatamente su un cielo nettamente azzurro. E poi la mia emozione da sera prima della partenza (dovuta al fatto di partecipare per la prima volta ad un dibattito con una giornalista, un archivista e soprattutto un filosofo!) si è stemperata grazie all’umanità e alla simpatia dei relatori e delle colleghe – tra le quali le care Paole (Ferrari e D’Arcangelo) che sono state i miei angeli custodi durante tutta la giornata.
Carola Frediani, giornalista di Totem, si è occupata nel suo intervento di mettere a fuoco i concetti del Web 2.0 a partire dalla celebre meme map, per poi passare ad esplorare Xml, folksonomy, reti sociali, mashup, e finire con esempi dalle note piattaforme del.icio.us, Flickr e Digg.
Il filosofo Carlo Penco, secondo me incredibilmente somigliante al mio amatissimo Ludwig Wittgenstein, ha introdotto elementi e pratiche di web 2.0 nell’attività didattica: all’interno dei corsi di Filosofia del Linguaggio e Semiotica presso l’Università di Genova i suoi studenti sperimentano con piattaforme di editing collaborativo la preparazione agli esami e un tipo di comunicazione accademica molto lontana dalla prassi burocratico-pedagogica tradizionale.
Il mio intervento (a brevissimo in linea disponibile su Slideshare anche per il download), partito invece da considerazioni sui mutamenti culturali e scientifici intervenuti negli ultimi dieci anni, si è articolato su library 2.0 intesa come biblioteconomia partecipativa: biblioteche su Facebook, Flickr, Second Life, LibraryThing – ovvero tutto quello che, anche con relativamente poco sforzo (ma una discreta dose di creatività e visionarietà) le biblioteche possono combinare mettendosi a sperimentare (possibilmente) insieme.
Hanno concluso l’intervento alcune ‘raccomandazioni’ intorno alla necessità, vitale per le biblioteche e i bibliotecari, di rendersi consapevoli del momento storico in cui viviamo (il mio personale motto del momento è: abbasso il purismo ;-) ), ovvero dei rischi di scomparsa e addirittura di auto-eliminazione che ci minacciano, e intorno all’importanza di costruire alleanze e lavorare insieme per compiere scelte più coerenti con la nostra lunga storia e più oculate nei confronti dei big player che in certi casi ‘assediano’ il nostro patrimonio.
E’ seguito l’ottimo intervento di Stefano Vitali, coautore, insieme con Linda Giuva e Isabella Zanni Rosiello del libro Il potere degli archivi, presentato il giorno prima allo stesso convegno. Per me è stato particolarmente interessante vedere come le sperimentazioni del 2.0 si possano applicare proficuamente all’universo degli archivi – universo del quale so purtroppo pocohissimo ma che intendo approfondire, cominciando dalla lettura del volume succitato.
Siti come Footnote, Polar Bear Expedition e soprattutto Moving here, testimoniano di un rinnovato interesse starei per dire civico verso la memoria condivisa, e in particolare verso quei pezzi di storia sociale che spesso è possibile ricostruire solo grazie alla partecipazione dei soggetti coinvolti. Il sito del governo inglese sui migranti mi è sembrato commovente nel suo tentativo di mettere insieme cocci di storie che altrimenti sarebbero inevitabilmente persi nei magazzini della Storia. Davvero un esempio di come le tecnologie aiutino nei procesi sociali e culturali oltre che in quelli strettamente professionali.
Il dibattito è stato di estremo interesse: molti hanno partecipato e tutti con domande, critiche e apprezzamenti davvero stimolanti – ringrazio tutti per lo sforzo di attenzione e partecipazione. Mi sembra significativa l’obiezione fondante di Isabella Zanni Rosiello in merito alla mutazione genetica delle biblioteche e degli archivi: dopo questa massiccia iniezione di tecnologia cosa diventeranno le nostre istituzioni? E a quali utenti si rivolgeranno? A fronte dell’incombente analfabetismo informativo, cosa diventeranno e cosa cercheranno da noi questi utenti, se non ci preoccupiamo (più) di costruire per loro una base culturale, prima che tecnologica?
Da altri partecipanti sono venute considerazioni su come utilizzare le nuove tecnologie per progetti di inclusione verso gli immigrati da realizzare nelle biblioteche e su come realizzare applicazioni 2.0 a fronte della scarsità di risorse finanziarie e professionali che affligge le nostre strutture. E poi commenti sulla necessità del ricambio generazionale, dell’utilizzo di software open source e di cercarsi uno sponsor, di rispettare l’accessibilità nelle applicazioni 2.0 e di favorire gli imprescindibili appoggi politici che ci permettano di perseguire gli obiettivi di rinnovamento.
Insomma, c’è tanta materia di riflessione e di dibattito. Secondo voi su quali di questi aspetti occorrerebbe primariamente spendersi nella nostra attività di professionisti dell’informazione?
[11.02.2008 — h. 21,30]
Accolgo volentieri un suggerimento di Marco Dal Pozzo e inserisco direttamente in questo post le slide dell’intervento.